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Cucina Afrodisiaca – Rompini, Cucina dell’Amore, 1926

OMERO ROMPINI [pseud. di Romeo Prampolini]. La Cucina dell’Amore. Manuale culinario afrodisiaco per gli adulti dei due sessi. Catania, Libreria Tirelli di F. Guaitolini, 1926. 240×150 mm. Pagine 211, [5]. Brossura editoriale stampata protetta da carta velina. Prima edizione di questo capolavoro di cucina afrodisiaca. Leggi la descrizione completa sotto!

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CUCINA AFRODISIACA – EROTICA – GASTRONOMIA

OMERO ROMPINI [pseud. di Romeo Prampolini]. La Cucina dell’Amore. Manuale culinario afrodisiaco per gli adulti dei due sessi. Catania, Libreria Tirelli di F. Guaitolini, 1926.

240×150 mm. Pagine 211, [5]. Brossura editoriale stampata protetta da carta velina.

Prima edizione di questo capolavoro di Cucina Afrodisiaca. Novecento in Cucina, p.156.

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Cucina Afrodisiaca: Cibo & Amore. Il Manuale Afrodisiaco di Omero Rompini

Un connubio innato nell’ordine cosmico e presente da sempre nella tradizione letteraria dell’essere umano. Dai più antichi papiri egiziani e dalle investigazioni a livello etnologico di Frazier fino ai giorni nostri nessuno ha mai messo in discussione il legame naturale fra la necessità di cibo e l’Alma Venus lucreziana. Energia e proseguimento della specie. D’altronde non fu già S. Agostino a scrivere che “l’unione sessuale è per la vita del genere umano ciò che è il cibo per la vita del corpo”? Ma quanto al rapporto ingrediente-desiderio?

E quali sono questi cibi che, per dirla con le parole del celebre e fortunatissimo libello del Sire di Badricourt, usati con giusto criterio e con giusto criterio dosati nella preparazione delle vivande, rigenerano gli organismi indeboliti: ‘essi ridestano sensazioni spente, le ravvivano se sonnecchianti, e permettono all’uomo di assaporare a lungo i doni possenti cari alle voluttà?’.

Ippocrate consigliava la salvia, il miele e i bulbi d’orchidea, Galeno preferiva i ceci. Marziale non aveva dubbi: l’ingrediente più efficace era il lampascione o, in alternativa, la rucola. E forse proprio l’attenta e pruriginosa lettura dell’opera del licenzioso epigrammista suggerì a vari censori ecclesiastici di proibire nel medioevo la coltura e l’uso alimentare della rucola nei conventi!

Apuleio, di contro, beveva volentieri vino per migliorare le proprie perfomance, vincendo così “la viltà del pudore mettendo in forza il piacere”, ma dovette pure difendersi da un processo per crimen magiae, imputato di aver servito alla matura seconda moglie Pudentilla – nomen omen – una zuppa di veretillum e virginal (frutti di mare dal nome in comune con gli attributi sessuali di ambo i sessi) per piegarla alle sue lascive volontà (ed intestarsi l’eredità). Ma l’elenco delle attestazioni è lunghissimo e, quello degli ingredienti di cucina afrodisiaca nella cultura popolare lo è anche di più.

Che dire infatti delle sensuali ostriche, dello storione e cosa poi, invece, del tartufo? Bartolomeo Sacchi nello scrivere il suo De Honesta Voluptate (1475 ca.) – il primo libro a stampa di gastronomia – così descrive il pregiato tubero: “è un eccitante della lussuria. Perciò viene servito spesso nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere”. Dello stesso avviso Giovanni Michele Savonarola, medico patavino fra i più celebri del suo tempo che consigliava i tartufi ai “vecchi che hanno belle mogli”. Chissà cosa ne avrà pensato il suo rigorosissimo e integralista nipote, Girolamo Savonarola, noto amante di falò e intransigente avversario di vizi, passioni, ricchezze e peccati…

Ma torniamo a noi e al nostro tartufo afrodisiaco che finì addirittura, con quel voluttuoso di Giorgio IV d’Inghilterra, nei documenti governativi. Egli, infatti, ne apprezzava a tal punto le qualità afrodisiache che diede mandato ufficiale ai suoi ambasciatori presso le corti di Torino e Firenze di rastrellare per le cucine reali gli esemplari più belli e profumati che potevano trovare. Si potrebbe andare avanti a lungo, anche solo sul tartufo, e senza scomodare Casanova, con le sue ostriche e le uova.

Questo verboso excursus era doveroso per introdurre il vero protagonista di questo testo: La Cucina dell’Amore. Manuale afrodisiaco per gli adulti dei due sessi, un capolavoro, un libretto con ogni probabilità redatto – sotto l’epico ed equivocabile pseudonimo di “Omero Rompini” – da Romeo Prampolini, gaudente giovane avvocato nonché libraio ed editore, nella ruggente Catania del primo ventennio del Novecento. Ma ve la immaginate la cucina afrodisiaca decò?

L’opera, edita nel novembre del 1926 dalla Libreria Tirelli di F. Guaitolini e stampata coi tipi della Tipografia Zuccarello & Izzi, si presenta in brossura, dove fa bella mostra di sé un esergo tratto dal leggero e fortunatissimo libello del Sire di Badricourt, cui Prampolini chiaramente si ispira. Questa prima – e unica – edizione di manuale di seduzione, ricco di ricette, è aperta da una dotta quanto eterogenea prefazione titolata La Cucina di Citera.

Essa, vero e proprio manifesto programmatico della cucina afrodisiaca, non lascia adito a dubbi sul concetto d’amore dell’Autore sin dall’apertura: “Si dice generalmente che gli innamorati perdono l’appetito e che vivono d’aria e di sospiri. Se questa affermazione può essere accettabile – e solo fino ad un certo punto – per quanto riguarda l’amore platonico, è però assolutamente falsa per quanto riguarda l’altro amore, il vero! Quello che dà gioie supreme e supreme voluttà, quello che la provvida natura assegnò come principalissima funzione all’essere vivente per assicurare la riproduzione dell’essere vivo, la conservazione della specie. Questo amore – l’amore vero – non sa infatti rinunziare all’alimentazione necessaria a mantenere la vita, e anzi non può fare a meno di una buona, ricostituente alimentazione”.

Chiaro, no? Questa prima parte prosegue poi con una ricca raccolta di aneddoti e notizie storiche e pseudo-storiche sull’alimentazione correlata alla sessualità, dall’antica Roma a Luigi XV e Du Barry, che cerca di riassumere il rapporto storicamente e filosoficamente sempre esistito fra cibo, desiderio e potenza sessuale utilizzando figure archetipiche quali la Cleopatra che “regina non meno che cortigiana, alla morte di Cesare – trepidando per la conservazione della corona – volle all’insufficienza delle armi supplire colla potenza della seduzione” – obnubilando Antonio con – “le blandizie della mensa che si fecero preziose alleate alle arti d’amore”.

Alla lunga prefazione seguono le singole sezioni in cui Rompini divide la sua opera: Ricette di vivande; Ricette di Dolciumi; Le zuppe afrodisiache; Influen- za della carne del pesce sulle attività delle funzioni sessuali; Formule più specialmente raccomandate per la cucinatura del pesce; Le uova; I Tartufi; Ricette di Tartufi; Per le donne: ghiottoneria e ghiottonerie; I Me- nus dei gabinetti riservati; Per una bionda, Ricette; Per una bruna, Ricette; La Cucina rigeneratrice; Scelta di legumi stimolanti; Il Cioccolato ausiliario alla Cucina di Citera; Bibite riconfortanti; Due parole sugli Afro- disiaci; La mensa dei Gallo-Romani del V secolo; Un desinare ai tempi di Enrico II.

Un’opera di raffinata seduzione questa Cucina afrodisiaca!
Il manuale, al di là delle tirate storiche e dei detti triti e ritriti alla Sine Bacco et Cerere frigescit Venus, offre ricette curatissime e dettagliati piani d’azione su come riuscire a sedurre il gentil sesso per concedersi ad “assaporare a lungo i doni possenti cari alla voluttà di quella virilità rigenerata e rinvigorita dal cibo”. Il punto di vista è quello del bon vivant, dell’oggi anacronistico – e scorrettissimo – vieux marchant, che però fa tanto Belle Époque

Le strategie sono scientifiche e militarmente organizzate, divise addirittura per colore dei capelli dell’obiettivo, l’approccio è preciso, puntuale e non lascia spazio ad improvvisazione o, sia mai, sciatteria. Ma questa descrizione non rende merito in effetti allo sforzo creativo. Vediamo quindi nello specifico le differenze di preparazione, intervento e menu necessari a sedurre una bionda o una bruna, così come sono esposte nel testo, senza tagli, interpolazioni o possibili fraintendimenti:

“L’appellativo ‘biondo’ comprende tutta la gamma delle sfumature compreso tra il biondo dorato della spiga matura sino al castano chiaro dei bronzi fiorentini. In via generale per la bionda il nostro vecchio gaudente consiglia: – Scegliere un ristorante di quelli che si rispettano. Conviene che la tappezzeria del gabinetto sia intonata al colore delle chiome bionde: preferibile quindi le stoffe di un bleu turchese.

L’aria sia leggermente impregnata di es- senza di eliotropio bianco: sui mobili siano distribuiti a profusione mazzi di violette di Parma e fasci d’iris fiorentina: sulla mensa abbondino tuberose e mughetti, fra cui si sceglieranno i fiori che adorneranno il seno palpitante. Il solito garrulo pianoforte sia sostituito da una silenziosa chaise longue. Convocazione discreta del maître d’hotel, col quale si combinerà questo menu:

Astaco all’americana,
Uova alla messalina
Pernicotti alla sultana
Piselli all’antica
Mele all’eva golosa
Vini: Sauterne – Chambertin Champagne Veuve Cliquot Ponsardin Demi-Sec

Gli effetti… incoraggianti di questo menu succulento, permettono di cominciare i lavori d’approccio quando verrà sturato il Chambertin, cioè quando entreranno in iscena i perniciotti alla sultana. Dopo gustate le mele all’Eva golosa si proceda spavaldamente agli attacchi più serii. Consigliabile la più meticolosa cura nella scelta del nido il quale deve essere elegante e dotato di incriticabile comfort: lo spessore delle portiere garantisca contro le indiscrezioni dei battenti all’uscio e la soffice morbidezza del tappeto sia tale da attutire cadute delle virtù più feroci”.

E le brune?

“Il bruno ha un’infinità di toni che salgono dal “bruno Van Dyck” dell’Arlesiana fino alle calde tinte delle Italiane, delle Castigliane, delle Andaluse. L’ambiente, che il nostro vieux marcheur consiglia quando si convita una bruna ad associare le delizie della mensa colle voluttà d’amore, dovrà essere scelto sempre in un restaurant di primissimo ordine: un gabinetto parato di stoffa antica nei toni d’oro vecchio: qualche profumino dovrebbe espandere delle emanazioni di verbena e di corylopsis: rose-tea e rose rosse sparse sulla mensa e sui mobili: garofani screziati e mimose sarebbero i fiori più indicati per adornarne il busto della vittima destinata all’olocausto. Un divano piuttosto elevato inviterà alle pose d’abbandono.

Il menu sarà il seguente:
Supreme di sogliole alla d’estree
Uova affogate alla Cleopatra
Fagiani all’orientale
Asparigi al verde
bomba diamante
Vini: Mosella Chateaux Margaux, Xeres secco, Champagne Pommery Greno extra dry.

Il Chateuax Margaux sarà assaporato con divozione quando verrà la volta del fagiano all’orientale: ne avrà maggior risalto la delicatezza degli asparagi che lo seguiranno dappresso. E infine gusterete quella cosa squisita che è la bomba diamante: troverete deliziose le varie sorte di frutta, dalle ciliegie all’albicocca, all’ananas. I profumi eccitanti, le vivande delicate, i vini generosi paralizzano a poco a poco nella bruna ogni velleità di resistenza: le sue difese vanno man mano perdendo di vivacità… e ben presto essa s’abbandona, trionfatrice e vinta”.

Una doverosa nota d’uso: i menu studiati da Prampolini nella sua cucina afrodisiaca sono fatti per il puro scopo specifico di sedurre, vi troverete quindi anche un piatto di carne in ognuno di essi.Voi, cucinieri Casanova, di quel piatto non eccedete e gettatevi piuttosto sul pesce, in quanto – nel capitolo Influenza della carne del pesce sulla attività delle funzioni sessuali, basato su un accurato studio della letteratura di bromatologia scientifica – l’autore ne magnifica le qualità “stimolanti” per l’uomo, tramite una storiella esemplare di cucina afrodisiaca:

pare infatti che il sultano Saladino, curioso di mettere alla prova la decantata virtù dei “dervis, astinenti anacoreti”, ne invitò due a palazzo per diversi giorni, nutrendoli con sfarzosi e ghiotti banchetti a base di carne, prima di lasciarli coricare ogni sera nelle loro stanze in compagnia di odalische “dalla onnipossente beltà”. Ebbene la lascivia delle odalische a nulla valse. Non pago della prova il sultano trattenne i due ‘dervis’ per un’altra settimana, nutrendoli stavolta del pesce più svariato. “Questa volta – racconta il nostro – le forze della natura non trovarono vincoli di divozione sufficienti a comprimerle: la virtù dei cenobiti fece pietosamente naufragi”.

L’ultimo consiglio
Scorrendo poi il testo ci accorgiamo che dall’indice manca una piccola sezione in- terna dall’intrigante titolo di Consiglio agli uomini deboli, esplicitamente pensata per coloro “cui manca o cui vien meno il dovuto e desiderato grado di ardore ai ludi amorosi”. Per loro il Rompini raccomanda pasti in cui figurino pesci di mare, tartufi, lenticchie, carote, asparagi selvatici, montone, cumino, anice, pinoli, pistacchi e nocciole.

I più “impigriti”, poi, potrebbero aiutarsi con una o due cucchiaiate da caffè di un “elettuario” cui Rompini dà il nome di Balsamo di Ciprigna, un infuso – grandemente efficace – di fiori di stoechas, bacche di mirto, anice, carote selvatiche, stimmi di zafferano, datteri secchi, tuorli d’uovo, acqua di fonte e miele puro. Nell’opera trovate anche, ovviamente, le grammature consigliate ma, per puro spirito civico, non voglio riferirvele per evitare eventuali azioni inflazionistiche sugli ingredienti in questione o eventuali e non volute indigestioni!

Ma cosa fare nei casi disperati in cui né tartufo né “elettuario” alcuno hanno effetto? Essi “troveranno efficace compenso alla loro insufficienza nell’uso di appropriata cura elettrica con correnti galvaniche e faradiche, intelligentemente applicata da abilissimo medico” oppure “buon giovamento potranno anche trarre dall’uso metodico di una buona cintura elettrica, la quale può essere applicata anche senza l’intervento del medico”.

Sebbene il nostro affermi che “gli effetti di codesta cintura sono sorprendenti”, a chi scrive non è stato possibile trovare buone recensioni del manufatto a cui, con ogni probabilità, ci si riferisce: la cintura elettrica Heidelberg, venduta all’epoca per corrispondenza e pubblicizzata come vera e propria panacea per tutti i mali: dall’ansia e la nevrastenia, alla debolezza ed alla “pigrizia di Venere” per dirla come l’avrebbe detta il buon Prampolini, cioè volevo dire Rompini!