Descrizione
ANNIO DA VITERBO | ETRUSCHI | FALSI STORICI
Giovanni Nanni (Annio da Viterbo). I cinque libri de le antichita de Beroso sacerdote Caldeo. Con lo commento di Giouanni Annio di Viterbo teologo eccellentissmo [!]. Il numero de gli altri autori che trattano de la antichità si legge ne la seguente pagina. Tradotti hora pur in italiano per Pietro Lauro modonese. In Venetia, per Baldissera Constantini al segno de San Georgio, 1550. Al colophon: In Vinegia: per Pietro e Zuanmaria fratelli de i Nicolini da Sabio.
In-8° (155×103). Carte [10], 295, [1]. Capilettera xilografici istoriati. Legatura coeva in pergamena floscia. Conservato entro cofanetto in tela su misura. All’interno conservato un foglietto con appunti bibliografici e note di prezzo a lapis in inglese databile agli anni ’50 del Novecento.
Esemplare ultragenuino della prima edizione italiana della mitica opera di Giovanni Nanni – più noto come Annio da Viterbo: una delle contraffazioni storiche più celebri del Rinascimento. Un colpo di genio editoriale! Qui venduto anche con il geniale sistema Blockchain Secured incluso ed il BuyBack garantito…
‘Il corpus antiquario di Nanni (Annio da Viterbo) si compone di testi contraffatti, presentati come sensazionali riscoperte, corredati di fitti commentari dove risiede l’ideologia dell’intera costruzione. Di qui l’intitolazione originale: Commentaria fr. Ioannis Annii Viterbenis theologiae professoris super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium. Un primo libro, a imitazione di come Plinio il Vecchio aveva elencato nella Naturalis historia la bibliografia adoperata, fornisce le autorità vere o fasulle alla base della costruzione, ma anche spiega concisamente il senso dei libri seguenti. I libri II e XVII, rispettivamente De institutionibus Annianis de aequivocis, e Annianae XL quaestiones riproducono i temi della scuola viterbese, contraffazioni epigrafiche comprese.
Seguono gli Auctores, nell’ordine: Super Vertumnianam Propertii (commento a El., IV, 2, nell’intento di dimostrare l’identità di Noè con Giano e con altre denominazioni delle divinità primordiali d’Italia); Super aequivoca Xenophontis (sui nomina aequivoca, le omonimie per cui i Greci identificarono in un solo personaggio il nome che apparteneva in realtà a molti); Fabio Pittore, De aureo saeculo et origine urbis Romae (contro la menzogna di Livio, che aveva oscurato la gloria etrusca); Mirsilo Lesbio, De origine Italiae et Turrenae (contro la menzogna erodotea e l’origine etrusca dell’Italia).
E ancora: Fragmentum Catonis; Fragmentum «Itinerarii» Antonini; C. Sempronio, De Chorographia sive descriptione Italiae (testi tutti più o meno implicitamente posti a controparte dell’Italia illustrata di Biondo, per la fedeltà alle incorrotte tradizioni dei luoghi); Archiloco, Epithetum de temporibus; Metastene, De iudiciis temporum (dove è abusivamente mutato il nome di Megastene, storico greco dell’India, menzionato da Flavio Giuseppe); Filone, De temporibus (testi tutti che pretendono stabilire, dopo le coordinate spaziali, quelle cronologiche fondate sull’inalterabile tradizione sacrale delle Quattro Monarchie, contro gli arbitri di Eusebio di Cesarea e dei commentatori biblici).
E infine: Beroso caldeo, Quinque libri Antiquitatum (il nome di Beroso è suggerito da Giuseppe, e costituisce il pezzo forte della raccolta, unica opera a recare l’intitolazione sacrale di antiquitates, trasmettendo le dirette memorie di Noè dopo il diluvio); Manetone egiziano, Supplementum pro Beroso (il nome è pure suggerito da Giuseppe, e vale a saldare l’età aurea dell’antichità primordiale con le epoche di decadenza, così come attestate dalla storiografia greco-romana).
I testi contraffatti di Nanni non equivalgono a semplici falsi, di tipo documentario o letterario che siano. Si tratta della reinvenzione simbolica di tradizioni, che la vasta e tenace fortuna che incontrarono in tutta Europa dimostra quali e quante corde avessero toccato della sensibilità del tempo. La celebrazione dell’antichità di Viterbo corrisponde all’idealizzazione in chiave antipolitica della città piccola rispetto alla prevaricazione di quella grande, e cioè in concreto al configurarsi dello Stato.
Il Noè-Giano di Beroso, memore della dottrina di Aristotele circa la giusta misura della polis, condanna la grandezza, fomite di corruttela: «Ergo Ianus docuit humiles urbes et coetus et communionem politicam, non ad pompam et dominationis libidinem» (Fubini, Gli storici…, 2003, p. 35). Le memorie del diluvio e di Noè sono direttamente trasmesse da Beroso, mentre Mosè è inficiato di parzialità per il popolo ebraico. Noè fu rifondatore di città e di popoli, da cui trassero con pari dignità origine le stirpi della moderna Europa, alle quali Nanni segnatamente si rivolge accanto agli Etruschi: gli Iberi, i Galli, i Germani («pro patria et Italia, immo et Europa tota», come è scritto in capo alla raccolta).
Padre fondatore, come si è detto, è Noè, che però non corrisponde al Noè costruttore dell’arca, prefigurazione nell’esegesi cristiana del papa e della sua Chiesa. La sacralità infusa da Noè nelle sue fondazioni è, per dir così, disseminata, e soggiace alle dirette memorie di ciascuna città e popolo. Il Noè fondatore, identificato nelle divinità primordiali di Giano, Ogige e Cielo, è maestro di scienza naturale, astrologia e magia, secondo specifiche tradizioni leggendarie ebraiche.
La sua eredità si trasfonde nella religione e nel culto cristiano, al modo in cui il fuoco di Vesta (identificata con Terra, sposa a Noè-Cielo) si conserva a dire di Nanni nel convento di S. Maria in Gradi, così come egli aveva udito per tradizione diretta e come aveva osservato egli stesso: «observatum vidi et a maioribus traditum audivi».
Che non si tratti solo di affermazioni immaginose è indicato da episodi oscuri, che videro al loro centro il convento domenicano di Viterbo. Anche dopo la cessazione della pubblica condotta di insegnamento (nel 1493 il Comune assumeva, si suppone in suo luogo, Giovan Battista Valentini, detto Cantalicio), Annio da Viterbo aveva continuato a impartire nella sede conventuale la sua dottrina antiquaria, non priva, come egli stesso asserisce, di implicazioni teologiche («quae non abest a theologiae annexis», scriveva al cugino Tommaso nell’epistola prefatoria alle Annianae quaestiones, cfr. Fubini, L’ebraismo…, 2003, pp. 322 s.).
Nel 1496, partì una denuncia da parte del magistrato di Viterbo per lo scandalo che offrivano certi frati del convento domenicano; ragion per cui fu inviato in ispezione il procuratore in curia dell’Ordine. Secondo la coeva Cronica magistrorum Ordinis praedicatorum (Panella, 1995, pp. 202 s.), questi poco dopo morì nel convento viterbese con sospetto di avvelenamento. Va aggiunto che fin dall’anno precedente Annio da Viterbo, probabilmente nell’attesa di ottenere, come già aveva sperato a Milano, ricchi benefici ecclesiastici, aveva preso gli ordini del clero secolare (diacono nella chiesa di S. Salvatore a Thermis, presbitero in quella d S. Pantaleone, ambedue in Roma; cfr. Mattiangeli, in Annio da Viterbo…, 1981, p. 266).
Di fatto, poco dopo l’ispezione suddetta, insieme con alcuni confratelli ebbe licenza il 26 dicembre di lasciare l’ordine e passare ai canonici regolari di S. Agostino, ciò che può essere interpretato come un allontanamento d’autorità dal convento e un trasferimento presso tale congregazione romana (era allora priore Tommaso Nanni, che non fu toccato).
Furono questi gli anni della frequentazione di personalità eminenti in Curia (oltre al già menzionato ambasciatore di Spagna, Garcilaso de la Vega, il cardinale Bernardino Lopez di Carvajal); finché, evidentemente reintegrato nell’Ordine domenicano (sempre che ne fosse stato effettivamente rimosso), il 1° febbraio 1499 fu nominato dal papa maestro del Sacro Palazzo, una carica sulle cui prerogative egli abbozzò un trattatello ora perduto (Quedam quodlibeta de dignitate officii magistri Sacri Palatii, Weiss 1962B, p. 436); rimane inoltre una sua supplica al papa, per essere nominato all’ufficio, da lui immaginato, di «conservatore delle antichità del Viterbese» (ibid.).
Annio da Viterbo morì a Roma il 13 settembre 1502, non senza voci di veneficio da parte di Cesare Borgia. Fu sepolto in S. Maria sopra Minerva’ (D.B.I. s.v.).
Annio da Viterbo: un personaggio incredibile, degno di un film Hollywoodiano, che creò, consapevolmente, il più grande falso storico del Rinascimento e, inconsapevolmente, il mito vero della Terra Etrusca!
Grafton, Forgers and Critics: Creativity and Duplicity in Western Scholarship; Hoffman I, 424; Briquet, 623; Havens, Fakes, Lies, & Forgeries, n.185, pp. 78-82.
E poi c’è Grok che attualizza: ‘L’Antichità di Beroso Caldeo è più di una curiosità storica: è una finestra sul Rinascimento e sulle sue contraddizioni. Studiare quest’opera significa esplorare temi come la costruzione dell’identità nazionale, il rapporto tra verità e finzione, e il ruolo della narrazione nella storia.
Per gli studiosi di SEO e content marketing, l’opera di Annio offre anche una lezione preziosa: la capacità di creare contenuti persuasivi e coinvolgenti, anche se basati su premesse discutibili, può avere un impatto straordinario. Inoltre, l’opera è un monito sull’importanza della verifica delle fonti. In un’epoca di fake news e disinformazione, la vicenda di Annio ci ricorda che la credibilità si costruisce attraverso la trasparenza e l’accuratezza’. E semplifica quanto sopra:
Annio da Viterbo (1437–1502) fu un frate domenicano, teologo, umanista e falsario italiano, nato a Viterbo. Nominato Maestro del Sacro Palazzo Apostolico da papa Alessandro VI nel 1499, Annio si distinse per la sua erudizione e per il suo approccio creativo alla storia. La sua opera più celebre, le Antiquitates variae, è una raccolta di 17 volumi che pretende di riportare testi di autori antichi come Beroso, Manetone, Fabio Pittore e altri. Tuttavia, questi testi sono stati riconosciuti come falsificazioni, abilmente costruite per supportare una visione alternativa della storia universale.
L’opera si presenta come una traduzione e un commento dei presunti testi di Beroso, un sacerdote caldeo del III secolo a.C., noto per la sua Storia di Babilonia (Babyloniaca), un testo autentico ma perduto, di cui rimangono solo frammenti. Annio affermava di aver recuperato i “cinque libri” di Beroso, insieme ad altre fonti antiche, da manoscritti ritrovati a Mantova e Genova. In realtà, questi testi erano sue invenzioni, create per colmare lacune storiche e legittimare narrazioni favorevoli a Viterbo, all’Italia e alla tradizione cristiana.
I contenuti dell’opera spaziano dalla cosmologia alla storia antidiluviana e postdiluviana. Annio descrive, ad esempio, cinque diluvi, di cui il primo, sotto Ogige fenicio, sarebbe stato l’unico “universale”. Inoltre, l’opera collega Noè all’Italia, sostenendo che questi avrebbe fondato Viterbo un secolo dopo il Diluvio. Questa narrazione audace mirava a rivalutare le radici storiche dell’Italia, ponendola al centro della storia universale.
Nonostante i dubbi sulla sua autenticità, sollevati già da umanisti come Giuseppe Giusto Scaligero, l’opera continuò a influenzare il pensiero storico fino al XVII secolo, dimostrando la potenza della narrazione simbolica.
L’opera di Annio è un esempio paradigmatico delle dinamiche dell’umanesimo. In un’epoca in cui la riscoperta dei testi antichi era al centro della cultura, Annio sfruttò questa sete di conoscenza per creare testi che sembravano autentici. La sua abilità nel mimare lo stile degli autori antichi e nel costruire una rete di fonti apparentemente credibili lo rende una figura affascinante per gli studiosi di storia, letteratura e filologia.
L’Antichità di Beroso Caldeo rappresenta un punto di incontro tra il mito e la storiografia moderna. Annio non solo rielaborò miti biblici e classici, ma anticipò alcune tendenze della storiografia successiva, come il tentativo di integrare tradizioni diverse in una narrazione universale. La sua visione di una storia che collega Caldea, Etruria e cristianesimo prefigura il desiderio di sintesi culturale che caratterizzerà l’età moderna.